#crowdfunding l’unica strada possibile per costruire l’innovazione.
Quelli riproposti sono dati che parlano chiaro, mostrati da uno studio del dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano e pubblicato sulla rivista scientifica Research Policy. Si tratta di un trend che, seppur comune a tutti i principali paesi Europei (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), in Italia assume proporzioni rilevanti. Qual’è il motivo?
Il confronto con gli USA per capire i limiti italiani
Confrontiamo il modello del funding italiano con quello USA, da cui ci giungono alcune lezioni fondamentali per individuare i limiti del modello nostrano:
- La cultura del fallimento: sei uno startupper e hai fallito con la tua startup, poi ti sei rimboccato le maniche e ne stai lanciando un’altra? Se operi in USA i Venture Capitalist preferiscono te a chi non ha almeno un flop alle spalle, perché la sconfitta arricchisce, ti permette di non rifare gli stessi errori e ti tempra per affrontare la dura sfida del mercato. In Italia? Se hai fallito, sei un rischio maggiore, e le probabilità di ricevere funding diminuiscono per la gran parte degli investitori
- Imparare dal privato conservando la mission pubblica: All’interno della Government Services Administration (GSA), un ente federale USA, è stata creata ad aprile 2014 18F e ha come slogan “Always Be Shipping”. 18F raccoglie team di innovatori reclutati attraverso periodici bandi pubblici. In pratica, sviluppa soluzioni IT innovative e principalmente digital per le amministrazioni pubbliche, applicando metodologie e strumenti agili, del tutto assimilabili alla logica del crowdfunding, invece di quelli lenti e costosi tipici dei grandi progetti governativi. Un esperimento simile è stato attivato 3 anni fa in Uk e denominato “Digital Champions”… ma nonostante l’omonimia, si tratta di un modello totalmente diverso da quello disegnato dai “Digital Champions” in salsa nostrana.
- Privilegiare l’equity model: il mercato USA, più flessibile aperto e meno formale, ha perfezionato e valorizzato la cultura dell’equity market. Ovvero una modalità profondamente aperta di essere co-partecipe di un’idea attraverso l’acquisto di quote, ma che allo stesso tempo non implica il potere di ingerenze sulla strategia e lo sviluppo del progetto, una tutela fondamentale per non snaturare le nuove idee. In italia il funding è nella maggior parte dei casi molto più vicino al concetto bancario del debit, cioè finalizzato ad ottenere un maggior liquidità nell’immediato. Una strategia di funding che tradizionalmente è adatta al settore manifatturiero, artigianale, edilizio… dove, al contrario delle dinamiche startup, una buona liquidità basta a generare nel brevissimo tempo utili e ricchezza. Solo negli ultimi anni si è innescata un’inversione di tendenza (inversione di cui il sistema pubblico sembra non essersene accorto).
Qual’è la funzione delle startup nel tessuto economico?
Qual’è la finalità economica di una start-up innovativa? Principalmente è quella di realizzare un progetto con forte capacità di innovare un segmento di mercato, trasformandolo, migliorandolo o addirittura destituendolo. E’ chiaro che questo concetto di innovazione implica l’innesco di dinamiche, che per diventare economia profittevole, hanno bisogno di tempo (almeno tre anni).
Tre anni in cui è necessario attivare: un marketing efficace, percorsi di prove ed errori e dotarsi di energie tali da poter sfidare qualche lobby pre-costituita. Solo dopo questo primo periodo si può raggiungere il tanto agognato BEP (Break Even Point) e successivamente la generazioni di utili.
Questa premessa è indispensabile a capire perché un modello di funding basato sul debit (scelta principale del pubblico italiano), può essere addirittura dannoso, per lo sviluppo di una rete di startup.
Ma ciò nonostante è sotto gli occhi di tutti il proliferare negli ultimi anni di bandi, finanziamenti agevolati, incentivi, contributi statali, regionali ed europei per le start-up innovative. La modalità prevalente di attribuzione del funding è costituita dalla cessione di un prestito agevolato, talvolta associato ad una piccola quota a fondo perduto.
Una startup per sua vocazione non può contrarre debito. Quello che serve ad una startup è solo in parte la liquidità, il vero motore per la sua crescita è il tempo; tempo per sbagliare e ripartire, unito ad una rete fatta di business angels, mentors e servizi tecnologici.
E’ per questo che l’unico modello di funding possibile per sviluppare un’idea innovativa è l’equity-based crowdfunding: quando tramite un micro-investimento si acquista un vero e proprio titolo di partecipazione in una società. In tal caso, la “ricompensa” per il finanziamento è rappresentata dal complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell’impresa.
Segnaliamo in tal senso due casi italiani di successo, in cui il modello dell’ equity crowd funding è alla base del 100% dei funding concessi, si tratta di:
- StarsUp: una piattaforma di crowd funding, che oltre a mettere in comunicazione Startup e investitori (per lo più micro-investitori) offre un’ampia gamma di servizi professionali e di supporto, per lo sviluppo di nuovi progetti. StartsUP è inoltre la prima società ad aver ottenuto l’iscrizione al registro dei portali on line, per la raccolta di capitale di rischio da parte di start-up innovative, istituito dalla Consob.
- Unicaseed: un progetto di equity Crowdfunding del gruppo immobiliare Sim, che risulta una delle novità più importanti in Italia nell’attività di finanziamento delle StartUp innovative, in termini di “pubblicità” e diffusione al mercato del capitale di rischio.
Leo Mauriello
I'm characterized by a great curiosity, that drives me to achieve important goals and new challenges. I'm a web and digital marketer mainly focused on digital strategy and social advertising with design, programming and digital analyst skills.