DataLa notte più lunga: #PrayForParis e il racconto dei social

Livia Del Pino8 anni ago9 min

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Parigi, 13 novembre 2015. La città sotto assedio, attentati in sei punti della città: Stade de France, Boulevard de Charonne, Boulevard Voltaire, Rue Alibert, Rue de la Fontaine au Roi e teatro Bataclan. Paura, angoscia, cordoglio, rabbia. Il web ha reagito con forza, da ogni parte del mondo. Ora, chiunque, con uno smartphone, un tablet o un notebook può accedere alla diretta dell’opinione e dell’emozione. Gli eventi spingono sempre gli utenti a partecipare. Cosa è successo online nelle ultime quarantotto ore? Quali sono state le parole più scritte e più condivise?

Twitter: fra #Bataclan e #PrayForParis

Twitter è da subito imploso o esploso nelle mani degli utenti. Le agenzie stampa dalle 21 e 20 di venerdì scorso hanno cominciato a battere sulle tastiere e i polpastrelli a scorrere sugli schermi touch.

I tweet raccontano una storia. Quando gli attentati squarciano la normalità di una sera d’inizio weekend le notizie flash hanno il sopravvento: #Bataclan, il teatro dove sono morte quasi cento persone, supera il milione di tweet, mentre #Fusillades (fucilate) ne mette insieme quasi 135.000. Gli utenti sono alla ricerca di informazioni, ma vogliono anche essere d’aiuto: qualcuno conia l’hashtag #PorteOuverte, porte aperte, per segnalare luoghi sicuri in cui rifugiarsi, generando 1,1 milioni fra tweet e retweet. #Paris tocca un picco di oltre 8 milioni nella notte fra 13 e 14.

Al mattino il mondo si sveglia con poche e terribili certezze: Parigi è stata attaccata, i morti sono 132, 352 i feriti, si tratta di un atto terroristico. Adesso la paura evolve, diventa rabbia o commozione, stimola condivisione, manifestazioni di solidarietà, bisogno di prendere le distanze. Tutto il mondo twitta #PrayForParis e qualcuno introduce la variante #PrayForWorld. Si rinnova #NotInMyName, una campagna che parte da lontano, dal 7 gennaio di quest’anno dopo l’attentato a Charlie Hebdo, è l’espressione di centinaia di migliaia di mussulmani che si distaccano con decisione dal terrorismo (“Chiunque uccida un uomo sarà come se avesse ucciso l’umanità intera”, Corano 5:32, ricordano delle ragazze in piazza a Milano). Il report realizzato da Francesco Russo sul traffico Twitter, segnala nell’ultimo aggiornamento che la reach di #PrayForParis raggiunge i 17 miliardi.

Facebook: safety check, emotività e tricolore francese

Facebook, con le sue intrusioni, si rivela utile in un modo freddamente inquietante. Venerdì sera viene subito attivata la modalità safety check che permette agli utenti di controllare quali amici si trovano nell’area di Parigi al momento dell’attentato, chi ha confermato di stare bene e chi ancora non ha dato nessuna notizia. Un flag verde ci rassicura e ci comunica in pochi pixel che sì, i nostri amici sono ancora vivi.

Gli spari e le bombe sono in ogni post, pochi raccontano altro. Smarrimento e angoscia, paura e solidarietà. Ma Facebook è un social viscerale, l’espressività si colora spesso di tinte fosche e le emozioni diventano violente. Sabato e domenica cominciano a vedere la luce anche teorie complottistiche e bufale che trovano, in queste circostanze, terreno fertile per click facili.

Come dopo la decisione della Corte Suprema USA in merito ai matrimoni omosessuali, Facebook da sabato ha scelto di permettere a chiunque di manifestare la propria solidarietà sovrapponendo il tricolore francese alla propria foto. Ovviamente, giungono puntuali le polemiche in seguito all’iniziativa: la facilità con cui si può aderire è pari alla superficialità di finti dolore e comprensione? Forse la verità sta nel mezzo: una critica totalmente distruttiva stronca anche la più sincera solidarietà, l’accettazione a ogni costo invece sottovaluta il lato effimero e spiccio della commozione.

Rabbia, razzismo e odio: Umberto Eco ha ragione?

Anche Instagram ha raccolto molte foto e hashtag legati ai fatti parigini. Tour Eiffel hanno cominciato a spuntare sugli schermi degli instagrammers e #PrayForParis è arrivato a contare più di 6 milioni di post.

I social sono un racconto della vita in diretta, un flusso di fatti e di emozioni che si intrecciano in tutto il mondo. Questa proliferazione crea confusione o moltiplica l’informazione? La rabbia che si trasforma in razzismo, l’odio che scivola sul web, da una parte e dall’altra (non dimentichiamo che i terroristi si servono degli stessi strumenti che usiamo noi). Sfoghi incontrollati che si cristallizzano, salvati nell’etere e diffusi in tutto il mondo. Alle volte viene da pensare alle parole di Eco, quando diceva che “i social hanno dato la parola legioni di imbecilli”. Ma non è questo il caso, giusto? Non è forse meglio guardare alla solidarietà, alla condivisione e alla diffusione delle notizie?

Per come la vedo io, meglio più informazione che meno, meglio libertà eccessiva che libertà negata. Ma è solo un’opinione. A ogni modo, oggi le Storia passa dal web.

Livia Del Pino

Rifletto spesso sull'onesta reazione di Mark Twain a una domanda insidiosa: "I was gratified to be able to answer promptly, and I did. I said I didn’t know". Inseguo la conoscenza, chimera irraggiungibile, convinta che la bellezza sia proprio nel viaggio.

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